Il campionato dei Brooklyn Nets in pratica è terminato da qualche settimana, quando cioè i problemi alla spalla di Kyrie Irving hanno nuovamente fatto capolino dopo averlo lasciato al palo già per un lungo periodo, portando così l’ex Cavaliers a prendere la decisione di curarsi definitivamente ed andare probabilmente sotto i ferri, abdicando per questo il comando della truppa, lasciando però il suo team in una situazione abbastanza surreale. E’ inutile infatti nascondere e non rimembrare che la stagione degli uomini di Atkinson, iniziata la scorsa estate, proseguita durante il torneo in corso e terminata ora con il season ending injury, è viaggiata di pari passo con gli umori e le aspettative da one man show che il natio di Melbourne portava con se, in attesa che l’altro violino Kevin Durant potesse tornare abile e arruolato e spartirsi con lui i galloni da leader. La mediocrità dell’Est permette a Dinwiddie e soci di resistere in linea di galleggiamento con la zona playoff, ma quel che traspare è ormai un senso di sfiducia generale, che porta ogni componente del roster sul parquet, specialmente nella difesa a uomo e sulle second chance, a giocare per se stesso senza la minima abnegazione a coprire o pressare, divenendo bersaglio facile di ogni top scorer avversario, Aaron Gordon, Bradley Beal e i ragazzi terribili di Atlanta per ultimi.
Nel periodo incriminato, dove c’è spazio anche per l’orgogliosa W in overtime a match quasi perso contro dei distratti e rimaneggiati Celtics, fanno specie i 116 punti di media incassati, la facilità a concedere tentativi da fuori (sui 40 a sera e a fronte dei 33.8 precedenti), l’alta percentuale di riuscita (40%) in questa specialità e quella sulle conclusioni da due, pure essa elevata (46.05). Addossare la colpa a Kyrie di tutto ciò è esagerato certo, dato che nelle precedenti strisce in sua assenza il resto della banda aveva performato dignitosamente, arrivando persino ad un perentorio primato di 11-5, che aveva assestato Brooklyn in piena scia top six a est e ampiamente sopra media (54%). Oggi però è tutto diverso e gli appelli solenni, antecedenti a lamentele e personali suggerimenti societari, a cui Uncle Drew ci aveva già abituato a Boston, hanno finora avuto lo stesso esito deflagrante.
Il modus operandi di Kyrie
La storia degli sport a stelle e strisce è ricca di grandissimi giocatori, qualitativamente inarrivabili e dallo spessore hall of famer, i quali però, messi di fronte allo status di significat, per cambiare mentalità ai compagni e portarli alla vittoria, sono poi crollati ed anzi hanno comportato un effetto esattamente contrario. Mark Messier, Kobe Bryant o Ray Lewis sono casi isolati di straordinari leader carismatici e tecnicamente irraggiungibili, dentro e fuori dal parquet, capaci di rigenerare con un’occhiata l’intero habitat cittadino e provocare furore verso chi al proprio fianco. Non sono dunque questi gli esempi a cui ispirarsi per Irving e Durant, ma quelli di LeBron e degli Splash Brothers, vincenti e stracolmi di personalità ma magari non del tutto impeccabili e socialmente apprezzati da tutti, a differenza delle icone sopracitate. È in particolare il fantasma del Re e dei due satanassi di San Francisco a fare ombra al nuovo tandem di Brooklyn, molto spesso criticato di aver ottenuto titoli e consensi esclusivamente per merito di partner talmente formidabili e di aver invece provocato sconquassi nelle altre esperienze, dove il pulsante Win andava premuto in solitaria da loro. Inutile ricordare l’affaire Celtics-Kyrie, partito con squilli di tromba e promesse di matrimonio a vita e concluso poi con una pessima cavalcata in postseason, nella quale la preventivata guida spirituale non ha annesso il decisivo upgrade mancante l’anno precedente al cospetto del prescelto, rimanendo anzi nella mente del Garden più per i numerosi rimbrotti verso i suoi giovani colleghi che per coinvolgenti prestazioni da uomo franchigia.
Purtroppo questa prima esperienza dalle parti di New York City sembra simile a quella nel Massachusetts parlando a livello motivazionale, mentre dal punto di vista tecnico, da sempre pregevole specialità della casa, non può che essere senza voto, causa la molteplicità di infortuni che lo hanno limitato soltanto a 20 partite. E’ però il modus operandi del ragazzo, non nuovo ad esplosioni mediatiche, che lascia spesso basiti e confusi e che non collima con gli atteggiamenti (di facciata?) da tifoso, simpaticamente intravisti dalla panchina quando in borghese. Se infatti questa tornata aveva l’unico scopo di traghettare verso la prossima – durante la quale il duo dei sogni e atteso dopo anni bui, budget e appeal scarsi e senza scelte al Draft, si sarebbe finalmente riunito – perché fare dichiarazioni gratuite contro compagni e coaching staff, sulla reale consistenza del supporting cast da affiancare a lui e Durant e su giustezze tattiche? Il tutto, ovviamente a mezzo stampa, a nostro avviso potrebbe aver creato la situazione odierna, fatta come detto di un pessimo basket individualista e senza sbocchi, ma soprattutto generatrice di carenza di stimoli per il finale di stagione. Il capitano e maggiore investimento per i successi del club, non può abbandonare tanto in anticipo la sua nave, bollando pure come inadeguati la maggior parte dei suoi passeggeri. Così facendo quest’ultimi (certezze iniziali o giovani alla prova del nove), anziché consacrarsi grazie al conforto di chi dovrebbe qui creare una dinastia, si stanno come lasciando andare, immettendo sicuramente enormi dubbi nella mente di Sean Marks, che a fine anno potrebbe per questo rivedere molti contratti.
Cosa prevede il futuro
Dopo anni a pagare le conseguenze catastrofiche della trade 2013 per Garnett e Pierce e attendere schiarite dal cielo, il GM è arrivato ad assaltare il mercato estivo, forte appunto di una prima scelta e spazio salariale sufficienti per spingere su asset forti e certi, che hanno preso poi il nome di Irving e Durant. L’investimento esoso, cioè sui 70 milioni annui combinati fino al 2023, non lascia spazio ad altre ipotesi suggestive: il futuro a Brooklyn sono loro due! Ciò rappresenta quindi una sfida eccitante per il tandem, che ha dunque la possibilità di mettere a tacere le chiacchiere su una presunta allergia a vincere in autonomia, e dare a vedere di poter coinvolgere il secondary scoring in un game plan offensivo sulla carta letale e indifendibile, ragionando pure sui rumors che vorrebbero Giannis nel 2020/21 allontanarsi nella baia o nel peggiore dei casi UFA fra due anni, lasciando via libera ai Nets nella Eastern Conference. Secondo noi sono per l’appunto i realizzatori backup ad accrescere positività nei tempi a venire qui a Brooklyn! Delle altre super combo che si sono create quest’anno (James-Anthony, Leonard-George, Westbrook-Harden e Doncic-Porzingis), e a differenza delle lamentele da superstar viziata di Irving, nessuno a nostro avviso infatti può vantare coprotagonisti di spessore come LeVert, Prince, Temple e il sempre verde Jordan, mentre Dinwiddie, Harris e Allen costituiscono un vero e proprio Big Three in salsa minore, col primo a rappresentare una delle più belle storie NBA, rigeneratosi al pari del suo team dopo trascorsi fallimentari in G-League a Detroit e Chicago, il secondo sempre infallibile e utile cecchino dall’arco, e il 21enne da Texas College diamante grezzo dai mezzi spaventosi e ultimo capitale futuristico da plasmare per Kenny Atkinson.
Qualcuno andrà in scadenza e se in questo finale di campionato il trend si manterrà su binari morti siamo sicuri che parecchi cambieranno casacca. L’impegno di Beal – maestoso e danzante nell’aria come non mai – e dei generosi Magic, ci fa sperare siano loro a qualificarsi verso il possibile cappotto a tinte Bucks oppure al cospetto del probabile gentlemen sweep di Boston, Toronto, Miami, Philadelphia o Indiana. Il primo passo verso un futuro glorioso per Brooklyn sarebbe invece quello di recuperare crediti, fiducia e autostima nelle poco più di 20 partite rimaste, rimettendo in campo grinta, aggressività e pressing nelle due fasi, dando così a Sean Marks e coach la possibilità di studiare meglio quali siano i profili giusti da appaiare ai due assi e con i quali assalire il 2021, anno zero individuato da tempo per diventare grandi e puntare l’olimpo NBA, sperando che Durant e Irving sappiano finalmente dimostrare di essere dei motivatori vincenti, capaci di cambiare da soli la storia di una franchigia intera!