Intervallo lungo di un’anonima partita casalinga dell’Olimpia Milano. I tifosi si allontanano dalle tribune per gustarsi una birra rinfrescante o fare due chiacchiere col vicino di posto. Certo che questa settimana ha diluviato un sacco… e che freddo! Coloro che occupano i seggiolini delle ultime file faticano addirittura a scorgerlo, quello smilzo dodicenne che calca le assi del Forum, che scaglia la palla verso canestro mostrando l’enorme fatica nel gettare la palla a spicchi a un’altezza ragionevole. A fine partita la scena si ripete. Il ragazzino scende in campo, ma pare invisibile. Il palazzo si svuota. Rimangono solo le famiglie dei giocatori. Speranze per una partitella con altri ragazzini? Poche o nulle. Per sua fortuna, non proprio tutti gli atleti sono impegnati a coccolare i propri pargoli. Uno in particolare è ancora troppo giovane per avere famiglia. La faccia sbarbata e il ciuffo ribelle attirano il ragazzino. A cui non manca la faccia tosta e la spavalderia. Ehi, ti va un uno contro uno? Chissà cosa sarà passato per la testa del numero 8 dell’Armani. “Perché mostrarsi arrogante e rifiutare? Perché distruggere per l’ennesima volta le speranze del giovane?” Certo, Devin. Parto io in difesa. A distanza di tredici anni, immaginare quelle sfide fa quantomeno sorridere. Chi avrebbe mai pensato che i figli di Vittorio Gallinari e Melvin Booker potessero sfidarsi nuovamente dall’altra parte dell’Oceano, per contendersi l’autoproclamato titolo di World Champions? Sul talento di Graffignana qualcuno era pronto a scommettere sin dalla tenera età. Su Devin Booker, oltre a mamma Veronica e papà Melvin, avrebbero speso una buona parola Danilo e pochi altri, in quel momento. Un predestinato, nato sotto le migliori stelle. Con la consapevolezza interiore di poter superare i propri idoli. E raggiungere le vette più alte.
SHOOTIN’ STAR IN THE MAKING
Nel 2015, a sette anni di distanza dalle sfide milanesi con Danilo, per Devin si spalancano le porte della NBA. Lo scelgono i disastrati Phoenix Suns, in cerca di risorgere dalle ceneri dell’era Nash – D’Antoni, tanto bella quanto incompiuta. Lo selezionano per tredicesimo, quella notte. Prima di lui, tra i dodici, solo tre compariranno nei successivi All Star Game. Con due di loro, Devin ha un legame particolare. D’Angelo Russell, insieme a Tyler Ulis, formava ai tempi delle scuole medie (!) un futuro trio di NBA, oggettivamente immarcabile per i pari età dello Stato. Karl Anthony Towns, prima scelta assoluta, era invece compagno di college a Kentucky. La cavalcata della Kentucky di Calipari si arresta solo alle Final Four. Ma è chiaro a tutti chi dovrebbe avere il futuro più roseo per gli anni a venire. Palla in post a KAT. Ricerca del mismatch favorevole per il dominicano. Serie di blocchi per liberare l’arsenale offensivo del centro dei Wildcats. Non perché mancasse talento nel resto della squadra. Ma perché, agli occhi non solo di coach Calipari, è lui il freshman su cui puntare. A costo di sacrificare gli istinti offensivi di uno come Devin. O di uno come Trey Lyles, canadese scelto appena prima di Devin dagli Utah Jazz. Dalle montagne innevate di Salt Lake City al deserto dell’Arizona. Sliding doors, ne abbiamo?
Non il primo, neanche il secondo. Devin è valutato come il terzo talento più futuribile della Kentucky 2015. Le aspettative riposte sulle sue spalle da Phoenix, però, sono da subito quelle riservate ai talenti generazionali. Esordire ancor prima di aver compiuto diciannove anni non è roba da tutti i giorni. Devin, primo caso nella storia, pare doversi ancora ambientare nella tonnara della Lega. Caso vuole che Eric Bledsoe, guardia titolare, si infortuni, garantendogli molti più minuti e responsabilità offensive. Da Natale in poi, nessuno è stato in grado di scardinare Devin dallo spot di guardia titolare dei Phoenix Suns. E, a questo punto della carriera, chi lo farà più?
Le cifre dei primi anni della Lega sono tra le migliori di sempre. Avvicinato ogni record possibile per precocità, Devin è sin da subito un realizzatore di primissimo livello, in grado di sorprendere i difensori più esperti in ogni maniera possibile. La questione, però, è sempre quella. Tanti numeri, bellissimi numeri, giocate da highlights a ripetizione. Ma le vittorie? Ne arrivano 70 al TD Garden nel marzo 2017, con i compagni di squadra che compiono falli sistematici in difesa pur di regalargli i possessi finali per raggiungere un traguardo che, guarda caso, nessuno alla sua età aveva mai raggiunto prima. Ma i playoff? Va bene accumulare punti su punti, ma finché non elevi il livello anche dei tuoi compagni non puoi ritenerti tra i migliori di questo gioco.