There’s no I in team
Così Fred “Tex” Winter ammoniva Michael Jordan durante una gara tra Bulls e Hawks del 1987. La partita si concluse con 61 punti del 23, di cui 23 realizzati consecutivamente, ma sul finire del match MJ fece partire un tiro da metà campo che non piacque al vice di Doug Collins, che quindi lo riprese facendogli notare la natura del basket di gioco di squadra, dove la filosofia di un gruppo deve vincere su quella del singolo. Michael poi rispose “but there is in win”, ma questa è un’altra storia e quelle vittorie non sarebbero mai arrivate se Jerry Krause, Phil Jackson e gli interpreti dei Bulls non si fossero resi partecipi della visione del gioco dell’uomo di Kansas State. Tex Winter si è spento a 96 anni il 10 ottobre di quest’anno. Sarebbe scontato dire che il suo triple post offense, abbia cambiato la storia di questo gioco, ma la verità immutabile scritta nella pietra è proprio questa. Le due dinastie dei Bulls e dei Lakers che sono stati capaci di indimenticabili threepeat hanno adoperato il sistema sotto gli occhi dello stesso Winter, divenuto compagno indivisibile di Phil Jackson dopo l’inizio della loro collaborazione a Chicago.
Winter arrivò nella windy city prima di Jackson, voluto fortemente da Jerry Krause come assistant coach di Doug Collins, che però non riusciva a fare affidamento sull’ossessione per i fondamentali del coach e riteneva il triangolo uno schema ormai superato. Phil Jackson, altra scommessa di Jerry Krause, iniziò a Chicago come scout e fu proprio Winter ad ammettere come i suoi report fossero sempre ben dettagliati e che fosse in grado di ricordare ogni particolare delle partite e del modo di giocare degli avversari. Una volta divenuto Head Coach, la prima decisione di Jackson fu quella di confermare Winter come suo vice, seguita dall’ordine categorico d’insegnare il triangolo ai giocatori della sua squadra: i Bulls avrebbero dovuto applicare in campo lo schema di Winter in quanto massima espressione dell’idea di basket di Jackson (e ovviamente dello stesso Winter) che vuole i giocatori in grado di risolvere i problemi facendo affidamento al gioco di squadra e al proprio ragionamento, invece che su migliaia di schemi imparati a memoria da un playbook.
Steve Kerr, oggi head coach di Golden State e allievo di Winter nel suo periodo Bulls, ha espresso profonda gratitudine nel ricordare il coach:
Ho imparato tantissimo sulla pallacanestro da Tex. Ron Adams [assistente degli Warriors] mi ha detto che Tex sapeva più cose sulla storia del gioco e sui suoi fondamentali di chiunque avesse mai incontrato in vita sua. Mi ritengo fortunato ad aver giocato per lui per cinque anni. Un sacco di cose che facciamo qui con gli Warriors sono sviluppate partendo dalle cose che ho imparato da Tex.
E in effetti la pallacanestro di Winter era fortemente basata sul creare spazi, sul continuo movimento dei giocatori e sul passaggio. Ogni giocatore di Winter doveva essere in grado di passare la palla e di tirare, per poter creare il triangolo in ogni possibile posizione del campo e per produrre più minacce per gli avversari. È forse lontano da quanto Kerr sta provando con un discreto successo a fare nella baia?
I fondamentali erano la sua ossessione. Ogni giocatore doveva essere in grado di tirare, passarla dal petto ed eseguire correttamente il lavoro di piedi in post. Come lui stesso diceva sempre “allenava, non criticava” e non importava se ci fossero in campo Michael Jordan, Kobe Bryant o chi altri, coach Winter era pronto a dire cosa non andasse a chiunque. Chiedere a Michael Jordan, che si trovò a sentirsi dire che doveva passarla meglio dal petto, o a Kobe che si prese la ramanzina del coach addirittura durante i festeggiamenti per la vittoria del titolo con i Lakers
Dopo aver appena vinto il nostro secondo titolo, eravamo tutti seduti in attesa dell’inizio della parata. Lui arrivò e iniziò a dirci che dovevamo allenarci sui fondamentali e che il nostro passaggio dal petto non era corretto. Scoppiammo tutti a ridere e non riusciva a capire il perché.
Lo stesso Kobe ha salutato il coach ricordando ancora una volta la sua attenzione a ogni dettaglio:
Il mio mentore. Mi sono seduto con Tex e abbiamo guardato insieme ogni minuto di ogni partita durante la nostra prima stagione assieme. Mi ha insegnato come studiare ogni dettaglio: è stato un genio della pallacanestro in ogni senso della parola. Mi mancherà tantissimo. Grazie Tex: non sarei dove sono oggi senza di te. Riposa in pace.
E sulla stessa linea sono stati anche altri due grandi allievi di Winter, Jordan e Pippen. MJ ha definito il coach un pioniere e studente del gioco, Pippen invece è stato molto toccante nel ricordarlo:
Tex è stato il mio più grande critico, ma era anche il mio più grande fan. Era un uomo di fondamentali: movimento di palla + movimento di uomini = successo. Non gli è mai interessato delle individualità. Senza Tex avremmo potuto non vincere neanche un titolo, ci ha insegnato a vivisezionare i nostri avversari in attacco. Avevamo con noi il più grande di sempre, ma è stata la sua conoscenza e il suo attacco ad aiutarci a distruggere le difese. Tex era un perfezionista, insisteva nel farci eseguire con energia, passione e precisione. Indipendentemente dal nostro avversario, voleva sempre il massimo da noi. È stato duro con me all’inizio della mia carriera, ma ha creduto in me e mi ha dato la fiducia necessaria di cui avevo bisogno per far funzionare il triangolo. Mi diceva: ‘Non ti sto criticando, ti sto allenando’. […] Mi ha insegnato come essere un miglior giocatore offensivo, come essere paziente in campo, come accettare le critiche, come vincere. Grazie Tex, riposa in pace.
Il ricordo è inevitabilmente legato al suo più grande lascito, l’attacco triangolo, ovvero lo schema inventato durante i 15 anni da allenatore di Kansas State University dal 1954 al 1969 e sul quale scrisse un libro pubblicato nel 1962. Si è già detto molto sull’eredità di questo schema, quel che non si sa forse è che i rudimenti che permisero al coach di dare vita alla sua creazione arrivano da un altro sistema che fece la fortuna di un’altra grande figura: la reverse – action del grande Pete Newell.
Flavio Tranquillo nel suo Basketball R-evolution ha dedicato un capitolo intero all’allenatore che guidò la nazionale olimpica USA nelle olimpiadi di Roma 1960. Un sistema, più che uno schema che, come il triangolo, richiedeva movimento, visione e intelligenza ai giocatori che dovevano applicarlo, capacità di leggere le azioni e ideare una strategia di squadra nell’immediato.
Queste le parole di coach Newell sulla reverse – action, prese dal già citato Basketball R- Evolution:
I nostri giocatori non si limitavano a eseguire la reverse action, ma la capivano e ci credevano. Noi ribaltavamo la palla da un lato all’altro, costringevamo la difesa a muoversi lateralmente e così facendo aprivamo spazio vicino al canestro per servire un tagliente o il post basso […] Oggi con il tiro da tre punti ci sarebbe ancora più diritto di cittadinanza per questi principi […] Al passatore insegnavamo a leggere il difensore esattamente come lo leggevano i due compagni […] oggi gli allenatori fanno mille segnali, ma il basket è basato sui counter (contromosse a quello che propone la difesa), bisogna vedere e reagire […]”.
Dunque movimento, fondamentali e decisioni veloci, questa la base della pallacanestro di Tex Winter, un allenatore che lasciava la retorica, l’enfasi e tutto l’aspetto psicologico ad altre figure (vedi Phil Jackson). Come hanno avuto modo di ricordare Phil Jackson e Federico Buffa:la coppia Buffa – Tranquillo, inviata a commentare le Finals dei Lakers, trovò coach Winter a pranzare nella mensa assieme ai giornalisti. Il Coach spiegò come Phil Jackson per spronare i suoi giocatori a dare il massimo avesse chiesto loro di vincere la partita per Boe, il suo cane appena scomparso. Nel raccontarlo, Federico Buffa parla di come Winter facesse intendere come per lui questi aspetti fossero “marginali” paragonati a quelli più tecnici di sua competenza.
La seconda storia è raccontata direttamente da Phil Jackson, il quale parlando di quanto fosse pragmatico Winter, ricorda come durante le partite, per mantenere concentrati i giocatori andava urlando la famosa frase di Mr Wolf di Pulp Fiction:
Non è ancora il momento di farci pompini a vicenda.
Pioniere, studente, genio. Adam Silver lo ha paragonato al Dr Naismith perchè ha davvero rivoluzionato il modo di fare pallacanestro e reso grandi figure citate in questo pezzo come Jackson, Jordan, Bryant ecc. Il suo lascito alla NBA e più in generale al basket è immenso e va aldilà del suo pur grande triple post offense. Tex Winter ha saputo elevare al massimo il concetto del basket come gioco di squadra e mostrato a tutti l’importanza del partire dai fondamentali per costruire i giocatori.
Ci sono stati i Bulls, i Lakers, gli Spurs e oggi ci sono gli Warriors. In futuro ci saranno certamente altre grandi squadre che scriveranno nuove pagine di storia di questo magnifico gioco e siamo certi che ognuna di queste saprà riprendere, fare proprie e studiare nei minimi dettagli, tutte le lezioni di Fred “Tex” Winter.