Ammettiamolo, su. Un pochino ci abbiamo sperato. Non vedere la stempiatura prominente nonostante la giovane età e quella faccia strafottente in una qualsiasi apparizione di postseason aveva esaltato le malelingue, che fossero più o meno buoniste. È nella sua natura sin dai tempi del college, l’essere dalla parte sbagliata della storia. Rappresentare il cattivo della favola, per il quale tutti augurano la sorte più becera e crudele. Perché quello rappresenta: la parte che ognuno di noi vorrebbe tenere nascosta, quella più oscura e anticonvenzionale, quella più pericolosa e disturbante. Senza drama, tuttavia, che vita sarebbe? Tanto più cerchiamo di reprimerli, tanto più i nostri istinti proromperanno con potente intensità e squasseranno il nostro ordine di valori. In un mondo dove il controllo e il rigore dell’antica Grecia sono modelli sempre più inflazionati, tutto ciò che è ingestibile assume connotati sinistri, paurosi, fastidiosi. Senza l’introduzione del #MetaQuestPlayIn, nessun nostro timore più recondito sarebbe riemerso in superficie. Eppure, volenti o nolenti, ci troviamo a fronteggiare i nostri fantasmi. Costretti a interrogarsi se, effettivamente, convenga continuare a voltare le spalle alla volontà primordiale di assecondare l’animo ferino insito in ogni essere umano oppure allentare i freni inibitori, anche solo per una volta. Solo per attingere a piene mani alle pulsioni goderecce, senza interrogativi di buonsenso o galateo. Chi pone il quesito? Prof. Rayford Trae Young, point guard degli Atlanta Hawks.
COME SI TRADUCE “SPAURACCHIO”?
In maglia Cincinnati Royals, l’annata 1972-73 di Nate Archibald è annoverata negli annali NBA. Unico giocatore a guidare la Lega per minuti giocati, punti segnati e assist distribuiti (46, 34 e 11.4): MVP della stagione regolare e media punti più alta per una guardia sino alla stagione monstre di Harden in maglia Rockets. Dall’alto dei suoi 185 centimetri per 68 kg, “Tiny” sarà fiero di constatare come dopo mezzo secolo ci sia stato qualcuno in grado di emularlo. Stessa altezza con qualche libbra in più di muscoli per Trae, ma stesso killer instinct. 2155 e 737: leader in NBA per punti e assist totali. Suo malgrado, l’aver calcato il campo per addirittura 76 partite su 82, scongiurando infortuni che lo tenessero lontano dal parquet per periodi prolungati, non lo vede in testa alle classifiche dei valori medi, comandate da Joel Embiid e Chris Paul. Se proprio ci si doveva immaginare qualcuno in grado di ripercorrere le orme di Archibald, Trae Young rappresenta l’identikit perfetto. Un indizio su tutti? Il play della franchigia della Georgia mantiene il primato appena ottenuto in NBA anche nel contesto NCAA: in maglia Sooners (2017-2018), Young ha trascinato il college di Oklahoma sino al secondo turno della March Madness, guidando l’intera Division I con 876 punti e 279 assist in stagione. Unico nella storia. Numeri, statistiche e classifiche, però, raccontano solo una parte di ciò che è Trae. Evidenziano il lato freddo, asettico, quasi cinico del personaggio. Quello per cui lo odiamo sta in tutt’altro. Anche i suoi grandi estimatori, in fondo in fondo, gongolerebbero per una sua caduta. Maledetta empatia umana.
Rockets Fan: "Trae you suck!"
Trae Young: "You need another beer my boy" 😂pic.twitter.com/PGgHXiYonw
— Everything Georgia (@GAFollowers) April 10, 2022
È paradossale: la stella conclamata ha avuto la migliore stagione in carriera, ma la squadra è una di quelle che deve rodersi maggiormente il fegato dal rimpianto. Gli Atlanta Hawks sono così, prendere o lasciare. E non si può neanche dire, citando la frase scritta letteralmente due righe sopra, che ciò dipenda dalle lune del suo leader tecnico e carismatico. Nonostante l’enorme carico offensivo sulle spalle, Trae ha registrato la miglior True Shooting di sempre. 60,2% con 8.3 (!) tentativi da dietro l’arco a partita sono cifre mostruose. Imparagonabili al Curry MVP unanime del 2016, tanto per fare un paragone citato dai più arditi, ma comunque ragguardevoli se considerati all’interno del contesto di sviluppo. Come mai? Semplice: nessun altro giocatore di Atlanta ha minimamente avvicinato, con la parziale eccezione di Okongwu, lo standard mostrato nella passata stagione, conclusasi con gli scalpi di Knicks e Sixers ai Playoff. Per via di infortuni o, banalmente, per un calo prestativo, la stagione di Atlanta è raffrontabile in tutto e per tutto al Blue Tornado di Gardaland. Un pessimo inizio, un inizio di 2022 positivo (favorito da una striscia di partite casalinghe), un nuovo calo e, nonostante (o grazie?) l’infortunio di John Collins, un’impennata di risultati in coincidenza con la fine della stagione regolare. Un saliscendi calcolato per entrare in piena forma nel periodo più importante dell’anno o la discontinuità tipica di una squadra fragile, basata sull’efficienza di tanti comprimari al servizio di una guida fagocitante palloni e attenzione? 14 aprile, 1:00: puntare la sveglia se si vuole ottenere una prima risposta.
IO NON HO PAURA
“In gara secca può succedere di tutto” e “non vorrei mai incontrare gli Hawks al Play In” sono due affermazioni che, piaccia o meno, esemplificano la nostra persona in quanto anima e cuore. La nostra non è paura dell’ignoto, ma timore reverenziale. La cavalcata di maggio e giugno 2021 è rimasta ben impressa nella mente e negli occhi dei tifosi di New York e Philadelphia: qualsiasi corpo o sistema si provasse a frapporre tra il canestro e Trae Young è stato semplicemente oltrepassato dall’#11 dei Falchi. “Ho piena fiducia nei miei compagni e in me stesso per andare là fuori e provocare shock in moltissime persone”: le parole di Young al termine di una tranquilla serata in ufficio da 28+11 a casa Rockets raccontano tutto del personaggio. Un piatto esotico, del quale sei consapevole del grado di piccantezza. Lo sai che farà male alle tue papille, ma confidi sia solo un fastidio. Una punta di masochismo e la volontà di superare i propri limiti, però, ti suggerisce inconsciamente di addentarlo comunque, sfidando la sete che pervaderà il tuo corpo in men che non si dica. Questo è Trae Young: un concentrato di tutto quello che non si vorrebbe vedere in pubblico, ma che si bramerebbe di godere in privato. Piacere proibito se mai ce ne sia uno.
Trae Young vs Luka Doncic Career Averages Comparison
Trae Young
25.2 PPG
9.1 AST
3.9 REB
35.5 3P%Luka Doncic
26.3 PPG
8.5 REB
7.9 AST
33.7 3P%The 2018 NBA draft gave us two future legends with so much potential pic.twitter.com/qqtRPgaZeI
— TraeMuse (@IceTraeMuse) April 4, 2022
Spietato come Crudelia DeMon. Sociopatico come Alex DeLarge. Prepotente come Thanos. Stronzo e psicopatico come Joker. Trae Young è la summa di tutti i reietti della letteratura più o meno recente. E non fa nulla per smentire la propria fama, anzi. Gode dell’aura che lo circonda. Si nutre dell’odio e del disprezzo dei detrattori. Più il palcoscenico è appariscente, più pomodori e insulti si possono ricevere, più Young si esalta. Ricerca costantemente il confronto con gli avversari, sino a inimicarsi tutto il contesto circondante. Uno come lui, a ricevere costantemente picche, replicherà sempre smazzando cuori. Come una dinamo inesauribile, si ricarica con la negatività che genera per produrre energia capace di alimentare l’intero sistema offensivo Hawks. Se gli farete notare come il suo apporto difensivo sia, per utilizzare un eufemismo, dannoso per gli equilibri di McMillan, Trae replicherà riferendosi alla noia delle partite di Regular Season. Se gli si faranno presenti le limitazioni fisiche, insinuando che non sarà possibile raggiungere il gotha dei più grandi, Young mostrerà brani di ulteriore grandezza e inattesa celestialità, degne di atleti dotati di altezza e stazza di altra categoria. Se Stephen Curry è la rappresentazione della speranza per una maggiore fetta di torta della popolazione cestistica mondiale di poter raggiungere i traguardi più grandi senza doti fisiche naturalmente eccezionali, Trae Young è l’altro lato della medaglia. È ancora più piccolo, più basso, più leggero del #30 di Golden State. Dovrebbe far leva sulla maggior solidarietà dei mingherlini impiegati d’ufficio che, staccando dopo una giornata stressante dietro la scrivania, decidono di trascorrere un paio di sere a settimana nelle fredde palestre di periferia urbana. Invece no. Novello Calimero, il suo atteggiamento non origina simpatia. Neanche pena. Ti fa arrabbiare. Te lo meriti, te la sei andata a cercare, l’hai voluto tu. Ma, nonostante tutto, una vocina ci ricorda che anche noi siamo fatti così. Sentirsi disprezzati per compiacersi della propria unicità e, una volta vincitori, rinfacciarlo con maggiore enfasi in faccia al mondo intero. Magari si fermerà subito davanti a un’altra squadra impronosticabile come Charlotte. Potrà non superare l’ostacolo successivo, che sia questa incerottata versione dei Cleveland Cavaliers o la temibile accoppiata Irving-Durant di Brooklyn. Forse sarà l’organizzazione e la cultura vincente dei Miami Heat a porre il sigillo finale sulla stagione di Atlanta. Chissà. Fino a quel momento, vicino o lontano che sia, vederlo sobillerà quella piacevole irritazione che funge da propellente per l’emisfero emotivo del nostro cervello. Trae Young: dalla parte dei cattivi, nella parte del malvagio, simbolo del fascino conturbante e perturbante.