A quattro anni lo portarono in una palestra comunale, facciamo pure al YMCA per intenderci, tecnicamente per imparare a nuotare, ma l’acqua non è la sua comfort zone, lui preferisce stare con i piedi per terra. Giocherà con gli altri bambini, pensano mamma e papà, invece lui afferra una palla dal classico cestone in metallo, e benchè sia più grande di lui inizia a tirarla al canestro, ogni volta più in alto, ancora e ancora. Quel bambino, che oggi è un ragazzo fatto e finito, non ha ancora imparato a nuotare, ma qualche sera fa, parafrasando le parole di coach Brad Stevens, uno che non le manda certo a dire, vedeva un oceano al posto del canestro. A voi, dopo l’exploit di gara 4 delle Eastern Conference Finals, Tyler Herro, che è passato in un giro di giostra dall’essere un “hated” ad un “heater”.
WISCONSIN NO MORE…
Agonista nato, non certo uno di quelli che si ferma al primo intoppo, riesce ad esaltarsi quando il gioco si fa duro. Non è un caso il suo progressivo aumento nei numeri, nella personalità e nelle giocate che regalano agli Heat un finale di stagione sicuramente inaspettato. Il rookie Herro si mostra al mondo come una pietra rara, magari ancora da sgrezzare, ma che sostanzialmente può già spezzare in due le partite e da solo. Il dato è ancor più ficcante perché Miami ha sì dalla sua un grande collettivo in cui uno come il prodotto di Kentucky s’incastra perfettamente, ma anche e soprattutto perché in una squadra con Jimmy Butler, Andre Iguodala, Jae Crowder, di personalità forti se ne avevano già abbastanza, se a questi tre ci aggiungiamo l’istrionico Dragic ed il silenzioso Adebayo, il progressivo miglioramento di Herro nei playoff – che fa il paio con i buoni numeri anche di Robinson – è qualcosa di davvero ricercabile solo in quelle skills che non possono essere insegnate, ma che sono innate solo per gli iniziati di questo sport.
Odiato in patria e anche parecchio. Gli hanno scritto con vernice rossa sul prato e gli alberi di casa epiteti che non sono nella Bibbia, ai suoi coach sono arrivati lettere minatorie in cui gli venivano augurati le peggiori sciagure ed infortuni sul campo, han tirato i pomodori contro il camion del padre e telefonate anonime alla madre. Tutto questo per la sua scelta di non andare (più) a Wisconsin al College, dopo una preliminare lettera di intenti. L’incontro con John Calipari ad un clinic per giovani prospetti (era un normale 4 stelle che comunque le grandi università tenevano sotto osservazione) gli cambia e non poco la vita. Non era una di quelle giornate in cui gli riesce tutto facile, ma dopo ogni errore il coach di Kentucky lo vede diverso, una macchina che memorizza ciò che ha sbagliato e la volta successiva fa meglio. Calipari lo vuole assolutamente, nonostante quel gap fisico che potrebbe fargli venire qualche dubbio, ma sul piatto c’è anche una bella offerta da Kansas. Le parole che gli cambiano la vita avvengono in un colloquio privato di recruiting, in cui sostanzialmente Calipari fa quello che Auerbach fece con Russell, dicendogli che non gli controllerà mai le statistiche se continuerà a rispondere in maniera così opposta ad ogni suo errore. Funziona.
NCAA: FROM ZERO TO HER(R)O
Il primo allenamento di Tyler Herro a Kentucky è in pratica un suo tentativo non solo di segnare ad ogni palla toccata, ma di difendere su avversari più grossi ed allenati di lui. Il coach vede anche qualcosa che forse gli era sfuggito, gli fa preparare un piano fisico di preparazione e poi lo ributta nella mischia, funziona. E più lo odiano e più lui reagisce. Dopo una gara da 1-11 contro Tennessee mentre tutto il dormitorio cerca di dormire lui è in palestra, non necessariamente alla luce di tutti i riflettori a ripetere quei tiri all’infinito, ancora e ancora, perché non accetta di sbagliare. Diciamo che la partita dopo fa 9-10 dal campo contro i Razorbacks, un’ira di Dio che non può essere fermata. Con questo bagaglio, che intanto lo ha fatto diventare anche un ottimo scivolatore sui palleggi avversari, è normale che le porte dell’NBA si aprano, Miami non se lo lascia scappare e ne coglie i risultati. E qui la magia inizia a fare qualcosa di insperato. Quando Jimmy Butler lo vede in allenamento, conosce la sua storia, trova in lui un filo conduttore. Lo sprona e lo sfida, e Jimmy ringrazia, ha trovato finalmente il giusto compagno per i suoi workout alle 4 del mattino, con parole davvero rimarchevoli:
Può fare qualsiasi cosa, passare, tirare e difendere, stando bene in qualsiasi posizione del campo venga messo. Non pensa né gioca come un rookie, perché lavora costantemente sul suo gioco. Studia i film delle sue giocate, oltre che di quelle avversarie, per migliorare le sue capacità, ma anche e soprattutto per vedere se in una scelta di tiro avrebbe potuto invece passare ad un compagno. Non riesco a trovarmi bene con nessun altro come con lui.
AWAY FROM THE GAME
Non solo basket, grandi giocate, grande talento. Anche sana follia di un ragazzo di 20 anni. Abituato a uno dei canonici pick up di seconda mano – tra l’altro auto protagonista di un’altra brutta vicenda ad una stazione di servizio nell’era della scelta del college, con serpenti e altri animali morti che gli vengono gettati nel cassone – una delle prima cose che ha comprato col primo stipendio è una macchina nuova, oltre ad un portafoglio di Gucci da 5000$ per sua madre.
Se dal profilo pensereste che durante il lungo lockdown si sia solo allenato, cadreste in errore. Durante la quarantena americana ha conosciuto su Twitter la sua attuale compagna, che però di mestiere è una preparatrice atletica, per la serie “non si ferma mai”. Aspettando il prossimo appuntamento della serie, in cui di sicuro le attenzioni di coach Stevens e dei Celtics saranno anche e soprattutto su di lui, il suo profilo non può che accrescersi di nuove pagine e storie. Occhio però a prenderlo in antipatia, perché da “hated” (odiato) sa diventare una “stufa” (heater) quando alza la mano e la lascia andare.