Si può dire che la vittoria dell’Olimpia a Berlino sia annoverabile in una di quelle che poi a fine anno pesano. Quelle che vengono dopo un primo tempo ai limiti dell’orribile, quando non sembra funzionare nulla in attacco e pensi:
Ecco, ci risiamo. Non riusciamo ad andare oltre i nostri limiti.
Per fare un ingeneroso paragone, simile a tutti i rimpianti della scorsa stagione nei famigerati scontri diretti in cui Milano, quando doveva vincere o doveva provare ad abbattere il muro della serata no, non ci era mai riuscita.
Le critiche non sono mancate in questo inizio di stagione per un inizio di campionato stentato, prestazioni non esaltanti soprattutto in terra italica, ma se nemmeno Roma fu costruita in un giorno, creare identità, qualità di gioco e modificare quella che era stata la logica di basket della scorsa stagione non è semplice.
Gli infortuni, i recuperi e i nuovi infortuni hanno rallentato ancor di più il processo di stabilizzazione, ma se anche il Barcellona è scivolato due volte in ACB, i risultati dell’Olimpia in campionato dovevano essere messi nella giusta prospettiva.
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— Olimpia Milano (@OlimpiaMI1936) October 29, 2019
Attacco ritrovato e presenza mentale in difesa
Da Berlino arriva un segnale importante e un lavoro psicologico di Messina nella pausa che ha ridato un minimo di serenità a una squadra che sembrava voler affrettare tutto per mancanza certezze e fiducia. Ne è derivato un terzo quarto dove i 27 punti non sono un caso dettato dalla sparatoria di un giocatore, ma frutto di circolazione, soluzioni intelligenti e tiri costruiti. Nedovic è stato solo il degno finalizzatore di questo lavoro di squadra, ma se è vero che a questo gioco, alla fine, vince chi fa canestro, a ottobre forse è meglio valutare come questa palla viene buttata dentro e in che modo ci si metta nelle condizioni di farlo. L’Olimpia nel terzo quarto (e anche in partite in cui ha perso giova ricordare) lo ha fatto come meglio non si potesse ed era difficile pensarlo vedendoli andare negli spogliatoi con 26 punti segnati.
Il mirabile tuffo di Moraschini in recupero difensivo poi è stato l’emblema di un giocatore non in una serata particolarmente brillante, ma in grado di esserci mentalmente e sacrificare anche il corpo per un singolo pallone, che al momento in cui è successo poteva sembrare tutto fuorchè decisivo. La difesa non è mai mancata e nel momento in cui si è adattata ai tanti tiratori a disposizione dell’Alba che cavalcavano l’unica loro reale arma offensiva, la partita è cambiata e si è tinta di colori biancorossi. In una serata così il merito va sicuramente ai giocatori, ma anche (se non soprattutto) ai correttivi e alla gestione di Ettore Messina che è stata notevole e chirurgica in corso d’opera. E ora si aspetta il Barcellona con spirito più libero.