Alessandro Pajola: una raffinata gemma grezza

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Pajola
Foto concessa da Giulio Ciamillo per Backdoor Podcast.

Sedicenne, alla prima esperienza tra i professionisti. Catapultato nell’atmosfera di una Basket City che non sta vivendo esattamente i suoi giorni migliori. Lontano da casa e dalla bolla protettiva che sino al momento gli ha consentito di mostrarsi come uno dei talenti maggiori su scala nazionale. Dall’arrivare all’allenamento indossando già le canotte per colpa dello spogliatoio da condividere con chi suda prima di te ad avere l’armadietto a fianco di quello di un professionista americano con esperienza decennale. Montarsi la testa, voli pindarici, credere di essere già arrivato. Iniziare a vantarsi con amici e col gentil sesso dei traguardi ottenuti. Allontanarsi dai valori che lo hanno reso il ragazzo serio e generoso che è. Rinnegare il passato trascorso a osservare gli allenamenti del fratello Lorenzo per un futuro ancora tutto da decifrare. Gli ingredienti per una fragorosa caduta ci sono tutti. Per fortuna, se oggi parliamo di Alessandro Pajola come di una realtà floridissima e ormai consolidata di Virtus Bologna nostro basket, non tutto è andato storto.

DUREZZA E LUCENTEZZA

A prima vista, Pajo si presenta come il perfetto antidivo. I boccoli riccioluti sono troppo lunghi per essere definiti “alla moda”. I profili Facebook e Instagram lo ritraggono esclusivamente impegnato sul parquet: troppo serio e noioso per un ventunenne che, seppur in annate pandemiche, dovrebbe permettersi una vita spericolata. Mai una parola fuori posto, mai una dichiarazione sopra le righe per attirare su di sé attenzioni o articoli. Nessuna ricerca spasmodica di notorietà. Amici, colleghi e addetti ai lavori, riferendosi a lui, parlano di un ragazzo tanto serio quanto generoso, tanto divertente quanto professionale, tanto interessante quanto interessato. Dai massaggiatori ai magazzinieri ai colleghi che dividono con lui lo spogliatoio. Nessuno ha nulla da ridire. Sul parquet, però, è tutta un’altra storia. La differenza tra quando ringhia sull’avversario e quando siede in panchina c’è. E si sente. Perché essere altruisti, difendere e lottare su ogni pallone, preferire lo scarico a un’iniziativa personale non coincide con la mancanza di personalità. Anzi.

Marche. Mare e tanta passione per la palla a spicchi. Alessandro convoglia su di sé gli occhi degli osservatori grazie alle Finali Nazionali u15 raggiunte con la Stamura Ancona, squadra della sua città, settore giovanile all’avanguardia a livello italiano e dal glorioso passato condito con qualche apparizione nella massima serie. Stamura, fucina di talento sia in campo (Achille Polonara vi dice qualcosa?) sia in panchina (Paolo Moretti, nonostante le difficoltà economiche, porta la Stamura ai playoff di B1 nel 2004-2005). Esordio nella competizione? Stamura vs Virtus Bologna. Scherzi del destino. Tabellino personale del Pajo? 35 punti, 9 rimbalzi, 8 falli subiti, 49 di valutazione. E vittoria. Chiamata del gigantesco Giordano Consolini e sodalizio Virtus-Stamura sopravvissuto anche al Covid. Il matrimonio s’ha da fare.

Fonte: Facebook ItalBasket

Esordire in serie A con la canotta delle V Nere è responsabilità mica da ridere. A maggior ragione nella sfortunatissima annata sotto la guida di Giorgio Valli, coincisa con la retrocessione in A2. Reintegro nelle giovanili? Prestito nelle serie minori a farsi le ossa? Neanche per sogno. Alessandro Ramagli, ben consigliato da Alberto Bucci, stravede per l’abnegazione e la sfacciataggine che il ragazzo di Ancona mostra sul parquet. Attenzione: qui non si parla di talento cristallino, rilascio michelangiolesco o atletismo debordante. Alessandro si è sempre evidenziato per un livello di intensità e concentrazione con cui compensa le lacune tecniche sulle quali, stiamo sicuri, continuerà a lavorare per il resto della carriera. Perché la visione di gioco e il tiro da fuori, armi sempre più redditizie nel basket moderno, sono frecce facilmente inseribili nella faretra anche più avanti nel tempo. Soprattutto se a consigliarti vi è la triade serba Djordjevic-Teodosic-Markovic. L’istinto per la palla rubata, la tenacia di scivolare quella volta in più, la cattiveria per mettere la museruola all’attaccante più pericoloso degli avversari, no. Queste cose non te le insegna nessuno. “Fotterli con la palla rubata è molto più gratificante di una tripla in step-back”. Non cambiare, Pajo. Ne abbiamo bisogno.

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