Se il passaggio del turno dei Pelicans ai danni dei Blazers – di cui avevamo parlato la volta scorsa – è stato una sorpresa, il 4-2 inflitto dai Jazz ai Thunder non è da sottovalutare. In generale la stagione dei Jazz è stata una grossa sorpresa, vista la partenza dell’uomo franchigia Gordon Hayward. Il timore concreto era che l’addio di Hayward potesse rispedire indietro di cinque anni una franchigia che, per motivi ambientali abbastanza evidenti, fatica ad attrarre free agent di lusso.
Per loro fortuna, dal draft è arrivato un giocatore che ha tutto per essere un upgrade del nuovo giocatore dei Celtics (il tutto dopo una sola stagione tra i pro). Questo, unito ad un gruppo di buoni giocatori allenato da un ottimo coach come Snyder, sta producendo ottimi risultati per Utah, già nella prima stagione del nuovo corso.
ROOKIE OF THE YEAR?
Quando scrivo questi articoli, di norma preferisco focalizzarmi più sulla squadra in generale che sul singolo. Della singola stella sappiamo già tutto, mentre trovo più interessante fare luce sui protagonisti molto meno celebrati ma altrettanto utili: con Utah faccio una piccola eccezione. Nel bel mezzo del dibattito tra lui e il prodigio Ben Simmons tanto acceso quanto poco importante al fine della valutazione di entrambi i giocatori, il rookie da Louisville sta producendo oltre 24 punti, 6 rimbalzi e quasi 4 assist di media nei suoi primi playoff della carriera.
Mitchell è il giocatore perfetto all’interno di una macchina di gioco come i Jazz, il cui attacco nasce dal movimento senza palla dei giocatori e dal passarsi il pallone. In realtà, però, in questi playoff la squadra di Snyder ha calato e non di poco il numero medio di passaggi a partita: dai 318 di media della stagione regolare si è scesi ai 271 dei playoff. Questo anche per cavalcarlo maggiormente, visto che finora è il quinto miglior realizzatore in iso tra i giocatori impegnati in post-season (4.7 punti di media in questa situazione contro gli 1.4 della stagione regolare), il tutto con anche una frequenza di utilizzo dell’isolamento molto maggiore, da 7.6% a 17.4.
Mitchell ama finire al ferro per sfruttare la sua grande coordinazione, il quasi ambidestrismo e la sua capacità di concludere in qualunque maniera:
Ha anche messo in mostra più volte la virata partendo da destra per poi concludere con la sinistra, cosa che potrebbe diventare presto la sua signature move.
Molte volte, però, tende quasi a sopravvalutare la propria abilità al ferro prendendosi conclusioni molto contestate:
La sua percentuale nella restricted area è rimasta pressochè invariata tra stagione regolare e playoff, mentre quella relativa ai tiri in vernice è calata dal 39% della regular season al 21% dei playoff.
Il tiro da tre è ondivago, tant’è vero che gli avversari gli concedono oltre tre tiri open a partita (mandati a bersaglio neanche con il 30%) e altrettanti wide open (che perlomeno segna con il 40%). Non essendo il tiro ancora una minaccia credibile in maniera costante, più palleggia, più si abbassa la percentuale (i tiri da tre arrivati dopo 3-6 palleggi sono stati convertiti con il 29% scarso). Al netto della giovane età, che già basterebbe per scagionarlo, Spida non è un cattivo tiratore, è solo streaky, ovvero uno che quando inizia a segnare non smette più (per referenze, chiedere ai Thunder di gara 6).
Per l’età e l’impegno che mette in attacco, è anche un degnissimo difensore. È il terzo giocatore più impiegato dai Jazz per contrastare lo strapotere di Harden e il risultato si è tradotto in soli 3.3 punti segnati di media nei 10 possessi a partita in cui il prodotto di Louisville è uno-contro-uno con il Barba (secondo miglior dato di squadra).
Quando il gioco si fa duro – e stagnante – nei playoff, avere una prima punta definita è necessario. I Jazz hanno trovato un fenomeno, con o senza il premio di Rookie dell’Anno in tasca.
LA FORZA DEL COLLETTIVO
Il grosso problema per i Jazz nella serie contro Houston era, oltre l’ovvia disparità di talento, la mancanza di firepower, con pura e semplice capacità di mettere la palla nel canestro.
In gara 6 contro i Thunder si è infortunato Rubio, che non ha mai messo piede in campo nel turno successivo. La sua assenza, per quanto poco rilevante ai fini del risultato finale, ha privato i Jazz di un discreto tiratore da 3, quello che Rubio è finalmente diventato; in stagione ha tirato da oltre l’arco con il 35% su tre tentativi, mentre nei playoff la percentuale è calata al 31%, ma con quasi due tentativi di media in più.
Per questo al suo posto hanno avuto più minuti due giocatori ancora piuttosto giovani come Exum (soprattutto) ed Alec Burks, accomunati da una travagliata storia di infortuni alle spalle.
Nell’unica vittoria della serie, Utah ha deciso di attaccare Houston con le sue stesse armi e, complici le difficoltà al tiro dei padroni di casa, i Jazz hanno cavalcato Burks in transizione:
Lui ed Exum hanno l’atletismo per battere l’uomo dal palleggio, abilità che scarseggia nel roster dei Jazz – eccezion fatta per Mitchell – e si sono rivelati una manna dal cielo per la squadra di Snyder, che ha avuto molti momenti di ristagno offensivo per la scelta dei Rockets di cambiare sistematicamente sui blocchi.
Exum è stato poi il miglior difensore su Harden tra tutti quelli che Snyder gli ha messo alle calcagna (da O’Neale a Mitchell, passando per Ingles), come testimoniano le cifre: solo tre punti totali nei tredici possessi di media in cui i due si sono affrontati. La combinazione di atletismo, mobilità laterale e lunghezza di braccia ha creato non pochi problemi ad Harden, uno abituato a segnare canestri di qualunque tipo:
Per quanto riguarda gli altri membri del supporting cast, Ingles è quello che senza dubbio ha spiccato più di tutti, rivelandosi il secondo scorer della squadra dopo Mitchell, non tanto come punti quanto come responsabilità (la vittoria nella seconda gara della serie porta il suo nome). Gobert, invece, ha giocato una serie di luci e ombre contro Capela.
In gara 1, il francese è spesso rimasto a guardia del canestro, venendo comunque battuto da Harden. Inoltre, come successo contro OKC, Gobert tende a lasciare agli avversari il tiro dalla media per proteggere il ferro: scelta più che condivisibile se non fosse che Chris Paul banchetta con quel tipo di tiro (54% dei tiri dal mid-range mandati a bersaglio contro i Jazz):
Nei successivi episodi della serie, il canovaccio non è cambiato, ma almeno il nazionale francese è stato più reattivo ad uscire dall’area per sconsigliare le penetrazioni o alterare i tiri:
In questo caso, Harden è spaventato dalla vista dello pterodattilo Gobert e preferisce scaricare all’ultimo per Tucker sul perimetro.
Anche Crowder ha alzato il suo rendimento e non di poco, vista la mediocre stagione regolare tra Cleveland e Utah, che ha prodotto solo un 32% al tiro da 3, arrivato al 43% nelle semifinali di Conference, mentre Royce O’Neale si è dimostrato ancora molto grezzo e con un tiro da tre su cui deve decisamente lavorare molto (in questi playoff quasi il 50% dei suoi tiri dalla lunga distanza sono definiti wide open da NBA.com, e convertiti con un discreto 36%). Visto che il tiro non entra, sta cercando di costruirsi qualche canestro dal palleggio:
(con rigoroso cambio di direzione da sinistra a destra, come in questo caso, per cercare di prendere un vantaggio sull’avversario, non essendo rapido abbastanza per batterlo col primo passo).
Dopo le lacrime versate in estate per l’addio di Hayward e la sensazione che il rebuilding fosse un processo lungo, essere arrivati alla semifinale di Conference al primo anno senza il proprio (vecchio) giocatore franchigia è un ottimo segnale.
Il bello è che in futuro le cose, parallelamente alla crescita di Mitchell, potrebbero andare pure meglio.