Vi sono due cose durevoli
che possiamo sperare di lasciare
in eredità ai nostri figli:
le radici e le ali
(Proverbio cinese)
Avviandoci alla conclusione del nostro breve (inutile?) percorso alla ricerca di uno sguardo sul futuro del basket, ci stiamo accorgendo di essere partiti, nelle due puntate precedenti, dalle “ali”, ovvero interrogando Ettore Messina e Toto Bulgheroni sul “come” sia possibile ritornare a volare. A questo punto ci è tornata alla mente una delle frasi più illuminate e illuminanti di Boscia Tanjevic, l’uomo dal “realismo magico” del nostro basket:
L’albero, ha radici profonde nella terra, poi le fronde, che sono il desiderio di parlare al cielo.
Ecco, affinché le fronde si sviluppino in alto e parlino al cielo, occorrono radici profonde. E ci siamo messi a cercarle…
Con Toni Cappellari, che iniziò come allenatore a Milano e dintorni (Leone XIII e Rho) per poi allenare Vicenza, che allora era una corazzata del basket femminile, approdando all’Olimpia Milano come vice di Filippo “Pippo” Faina, e quando Cesare Rubini, il Principe, lasciò Milano per approdare in Fip come responsabile delle squadre nazionali, fu proprio lui a subentrare nel ruolo di Direttore sportivo della gloriosa Olimpia.
Sempre lui che convinse e portò a Milano califfi NBA quali Mike D’Antoni, Joe Barry Carroll, Antoine Carr e Bob McAdoo. Per 13 anni consecutivi (1976-1989), profondamente incisi dalla meravigliosa simbiosi con Dan Peterson.
Formidabili, quegli anni, coincisi con 5 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 1 Coppa Intercontinentale, che era il campionato mondiale per club (Nba esclusa), 1 Coppa delle Coppe, 1 Coppa Korac e per 2 volte la Coppa Italia. Basta a farne uno dei dirigenti più vincenti nella storia del basket italiano?