Nell’ultima puntata di Backdoor Call abbiamo parlato tanto dei problemi umani che possono coinvolgere e colpire i giocatori professionisti anche di grande successo. E con Marco De Benedetto abbiamo parlato del caso più eclatante e al contempo delicato: quello di Ricky Rubio.
Di Rubio, tutti ci ricordiamo perché è uno di quelli che ha avuto il chilometraggio tra i più lunghi possibili, perché è uno di quei giocatori della generazione d’oro spagnola che già nelle manifestazioni giovanili under con la nazionale faceva numeri pazzeschi, quindi non è così vecchio, ma è come se fosse stato in campo per decenni. Se noi pensiamo a quanta routine ha dovuto affrontare da quando era ragazzino a quando è arrivato a essere un giovane uomo…ha dovuto fare una vita sostanzialmente con vittorie, emozioni, traguardi e gioie, ma una vita sempre uguale a se stessa per anni e anni. Questa cosa viene tanto sottovalutata e può dare origine a insoddisfazione che poi può degenerare e va trattata molto seriamente come spettro delle possibilità della mente, della psiche.
La zona di comfort
Non è casuale che lui abbia trovato in questo momento la sua comfort zone per tornare a fare quello che sicuramente più ama e per farlo in posti che gli ricordano casa, che sono per lui familiari e che lo fanno stare bene. Non sempre quando si valuta il basket mercato o gli spostamenti si può generalizzare, mi ricordo quello che disse qualche mese fa Jrue Holiday, che è milionario, lo sappiamo. Non sempre valutiamo così approfonditamente da spettatori quello che vuol dire spostarsi e cambiare vita, perché lo sport te lo richiede. Ti obbliga a spostarti e cambiare vita, ma essere sempre te stesso con la tua routine che è necessaria per avere la performance sul campo che è quella che tutti vogliono e ti richiedono e che ti pagano profumatamente per avere. Siccome la prestazione, la performance non è determinata solo da quanto talento hai, ma è molto più sottile perché l’equilibrio psicofisico deve essere ottimale. Lavorare su questa parte del proprio io non è roba per tutti, non è una cosa automatica per tutti, quindi sono discorsi molto profondi e, tante volte, sottovalutati.
Allora visto che l’hai citato, quanto è complicato cambiare vita?
Sottovalutato ed è esattamente il motivo per cui poi i rapporti che tu stringi diventano amplificati con una sorta di effetto grande fratello, perché il nostro lavoro ti può aiutare a vivere con i colleghi, con lo staff, con i giocatori, la grande maggioranza della giornata, della settimana, dell’anno e quindi tu ovviamente dovendoti interfacciare solo col nostro mondo cerchi qualità in questi rapporti e vuoi ridurre al massimo tutto quello che sono inconvenienti o incognite al di fuori. Non parlo per forza di me stesso, ma in generale ti può far paura la perdita di tempo, ma anche l’affrontare qualcosa di nuovo. Invece quando tu costruisci un binario che ti permetta di lavorare bene, che tu sia dietro una scrivania, su una panchina o sul campo, hai un binario che ti è conosciuto e chiaro e lo ricerchi il più velocemente possibile non appena ti sposti.
Adesso mentre noi ci stiamo parlando, io sto andando a vedere la partita di Venezia contro il Prometey. Lì c’è Tai Odiase che è stato un ottimo giocatore per Brescia l’anno scorso, quest’anno ha avuto una bella opportunità per rifare l’EuroCup con la squadra ucraina che gioca a Riga. Quanti dei tifosi appassionati internazionali di pallacanestro hanno dato peso a un ragazzo americano di Chicago che si deve scontrare da un contesto culturale, cittadino, di territorio come Brescia, da un club come Brescia a uno come il Prometey che gioca a Riga ed è una squadra sempre in fuga negli ultimi due anni con un’identità difficile da costruire. Salvo tutto questo, poi, aspettarsi le sue prestazioni di livello. Questo è solo per dare un esempio che mi viene in mente al volo, ma pensiamoci, perché per fortuna non siamo ancora automi, ancora.