Alcuni dati sono tra i peggiori mai registrati da quando ha fatto il suo ingresso in NBA. A esclusione dell’annata da rookie, mai aveva tirato con percentuali così scarse. Nelle sconfitte più che nelle vittorie viene elevata all’ennesima potenza la nomea di mangia palloni, stat padder e accentratore seriale di un gioco tanto frenetico quanto disfunzionale. I suoi numeri non si discostano più di tanto sia che i Maghi della capitale vincano o subiscano una dolorosa sconfitta. Perché, fondamentalmente, a Russell Westbrook di questo non è mai importato nulla. Nell’era dei social network e del consumismo giornalistico, la chiara tendenza è non considerare minimamente le infinite sfumature che collegano il bianco e il nero, alfa e omega. Salire sul carro dei vincitori richiede la stessa, irrisoria, fatica che costerebbe scendere alla fermata successiva per manifestare insieme ai detrattori della prima ora. Quale miglior capro espiatorio di uno con la personalità e la visibilità di Russ? Da sempre parafulmine di critiche feroci e opinioni spietate per squadre incapaci di comprendere le storture di Brodie. Checché se ne dica, Russell continuerà per la sua strada, bramoso di portare a termine la maratona interrotta così tragicamente dall’amico Nipsey Hussle. Perché, fondamentalmente, a Russell Westbrook non è mai importato nulla. Di niente e nessuno.
HOMBRE VERTICAL
Una sfida. Continua, costante, imperterrita. L’ossessione di dimostrare di poter andare oltre gli ostacoli posti da chi ne invidia strapotenza fisica, atletica e mentale. Sin dalle partitelle sui playground delle spiagge californiane, il nativo di Long Beach si è sempre posto l’obiettivo di superare le barriere della convenzionalità e del buonsenso cestistico. WHY NOT? Mai nome più azzeccato per un marchio o una fondazione creata da chi, questa domanda, se la sarà posta centinaia di volte nella vita e nella carriera. Nessuno è in grado di dire cosa sia negativo per te tranne te stesso. Procedere ancora. Consapevoli e fiduciosi di essere in grado di fare qualunque cosa, a prescindere dallo scetticismo e dall’altalenante apprezzamento di chi ci sta intorno. Nella quotidianità come sul campo da gioco. Come se dovesse faticare per due. Correre per due. Vivere per due. Vivere anche per KB3. All’anagrafe Khelcey Barrs, inseparabile amico e compagno di squadra sino ai tempi del liceo. Il loro progetto di continuare a giocare insieme anche al college si deve interrompere. Il NOT, stavolta, è inevitabile. Khelcey muore d’infarto durante un pickup game ai tempi di Leuzinger. A 15 anni. Da quel momento, Brodie sarà il multiforme traghettatore della sua anima. Che sia Caronte, l’angelo nocchiero o Beatrice. Nei momenti più bui come in quelli di massima esaltazione. Perché, fondamentalmente, a Russell Westbrook non è mai importato nulla.
Le qualità in sede di Draft del GM di Oklahoma Sam Presti sono universalmente riconosciute. E, piccolo inciso, ne avranno 34 da qui al 2027. Me cojoni, asserirebbe il commissario Rocco Schiavone. Eppure, tante critiche gli piovono addosso quando, alla prima chiamata della storia della franchigia appena trasferitasi da Seattle per volere dei proprietari del marchio Chesapeake Energy, i Thunder non scelgano un lungo. Non Brook Lopez, non Robin Lopez, non Roy Hibbert. Neanche Kevin Love, prospetto scintillante da UCLA. Sam pesca, comunque, dall’alma mater di Jabbar. Una combo guard con doti atletiche e difensive notevoli, dalla garantita foga agonistica troppo spesso associata a una frenesia e una vibratilità incontrollabili. L’energia che Russell mette in campo è contagiosa. Fisicamente e vocalmente dominante sul parquet, non ha la minima remora a fronteggiare rivali più grandi e grossi. I retrorazzi innestati in quadricipiti e polpacci, parzialmente venuti a mancare negli ultimi episodi della carriera, fanno il resto. Nella fisica, si dice che un macchinario ad alta potenza è in grado di trasferire una grande quantità di energia in un brevissimo periodo di tempo. La legge, trasposta su un campo di pallacanestro, è riassumibile in tre parole. Russell. Westbrook. III. Gli highlights delle prime stagioni in maglia Thunder ne sono manifesto esplicito. Non c’è verso di fermarlo. Non c’è modo di contrastarlo. Dritto per dritto. Perché, fondamentalmente, a Russell Westbrook non è mai importato nulla.