Scouting e settori giovanili: Intervista a Mattia Mastrofini di Italhoop

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Mattia Mastrofini di Italhoop

Terzo approfondimento sul mondo dello scouting, dopo il DS di Brescia Marco Abbiati e lo scout Lorenzo Neri stavolta ci siamo concentrati sui prospetti nostrani e abbiamo intervistato Mattia Mastrofini, il fondatore di Italhoop, il sito che in pochi anni è diventato riferimento del basket giovanile in Italia.

Presentati

Mi chiamo Mattia Mastrofini, ho 29 anni e il basket ha sempre fatto parte della mia vita: prima quello in carrozzina, seguendo le partite di mio padre, poi da giocatore e infine da allenatore. A giugno del 2015 ho trasformato un’intuizione in realtà facendo nascere ItalHoop, sito di informazione e di scouting sulla pallacanestro giovanile italiana.

Quando è nato ItalHoop? Qual è il vostro obiettivo?

Conoscere il maggior numero di giovani giocatori, raccogliere informazioni su di essi e catalogarle è sempre stata una mia passione. A giugno del 2015 ho deciso di pubblicare online il sito web ed i vari social network, con l’obiettivo di poter diventare un punto di riferimento per gli appassionati di pallacanestro giovanile: in poco più di quattro anni sono stati pubblicati oltre 1.900 articoli e 500 video highlights.

Come funzionano i ranking? Quanto conta il valore “attuale” rispetto a quello “in prospettiva”?

La prima pubblicazione dei nostri ranking viene fatta al termine dell’annata Under 14, dando un peso maggiore alle potenzialità di un ragazzo piuttosto che al valore attuale. Con il passare degli anni questi due valori vanno praticamente invertendosi, fino ad arrivare all’annata Under 20 dove il peso maggiore viene data all’abilità attuale.

Che caratteristiche deve avere un giocatore per colpirti? Quali aspetti non bisogna trascurare?

La prima valutazione che faccio è sempre di tipo fisico, concentrandomi su altezza, lunghezza degli arti, mobilità, margini di crescita e livello di sviluppo.
La seconda riguarda l’aspetto tecnico: mi piacciono giocatori che abbiano un tiro fluido (anche a scapito di una tecnica non perfetta), giochino a testa alta e che siano a proprio agio nel trattare la palla con entrambe le mani. A questo si collega l’aspetto decisionale: prediligo giocatori che abbiano nel proprio bagaglio soluzioni diverse alle varie situazioni che avvengono in campo; apprezzo anche l’errore, quando avviene nel tentativo di fare qualcosa di “diverso”.
Dal punto di vista comportamentale, infine, soprattutto in fasce basse di età non metto un marchio se un giocatore va più o meno fuori dalle righe, essendo il carattere in piena fase di formazione.

A che età si inizia a capire se un prospetto è veramente valido?

Una prima idea sui giocatori che possono essere considerati dei prospetti può essere fatta fin dai 14 anni e, a causa delle regolamentazioni attuali, un giocatore deve essere necessariamente pronto al termine della categoria Under 18. Spesso mi è capitato di leggere o di ascoltare interviste ad allenatori in cui si ritiene questa età troppo prematura, ma sono le società stesse a fare il maggior numero di movimenti in ingresso (reclutando in regione, fuori regione o all’estero) nell’annata Under 15…
Faccio due esempi, Miaschi e Palumbo, tutti e due classe 2000: in entrambi, reclutati rispettivamente dalla Reyer Venezia e dalla Stella Azzurra a 14 anni, si intravedevano le potenzialità per essere considerati dei prospetti e si sono confermati nel corso degli anni protagonisti nelle rappresentative Nazionali Giovanili e nei campionati senior.

Final 4

Molti giovani scelgono il college piuttosto che giocare nelle giovanili e sperare di entrare nelle rotazioni delle prime squadre. Si tratta di una scelta quasi obbligata?

Si tratta di una scelta difficile da rifiutare nel momento in cui capita l’opportunità, essendo un’esperienza formativa e di vita senza eguali. La possibilità che dà il college è quella di giocare in una fascia d’età (dai 18 anni ai 22 anni) che in Italia sostanzialmente non c’è più, viste le recenti riforme dei campionati giovanili: se sulla bilancia ci sono da una parte gli Stati Uniti e dall’altra essere il decimo giocatore di una squadra di Serie A2 o di Serie B, non mi sorprende che sempre più giovani giocatori scelgano la prima opzione.

Sempre più giovani scelgono di proseguire il loro percorso in grandi società all’estero, mi vengono in mente Spagnolo al Real Madrid e Grant al Bayern di Monaco. Sicuramente si tratta di grandi opportunità per loro, ma fino a qualche anno fa era quasi impensabile una cosa del genere. Che idea ti sei fatto a riguardo?

Parliamo di due giocatori partiti dall’Italia al termine dell’annata Under 15 ed atterrati in due società di prim’ordine, che danno l’opportunità ai propri giovani di giocare anche nella seconda serie nazionale a livello senior. Entrambi già noti agli addetti ai lavori: Spagnolo affrontato dal Real Madrid in diversi tornei continentali, Grant passato al Bayern Monaco nella stagione 2017/18 dopo aver rifiutato sirene estere l’anno precedente. Prospetti di altissimo livello che scelgono di massimizzare il loro potenziale in società con strutture di allenamento idonee e prospettive di crescita reali.
Ad oggi, rispetto al passato, le società di questo tipo possiedono una rete di contatti e di osservatori importante e anche il live streaming di tornei e manifestazioni varie ha ridotto le distanze tra le squadre estere e l’Italia: basti pensare a Valesin, un classe 2006 del BVO Caorle nei radar del Real Madrid ben prima di iniziare la categoria Under 13!

Come si potrebbe migliorare il movimento? La Junior League poteva essere una buona idea o comunque non basta?

Per migliorare un movimento credo che debba essere data la possibilità di programmare alle società che ne fanno parte. Nel 2016, senza un grosso preavviso, c’è stata la ridefinizione delle categorie giovanili da Under 14, Under 15, Under 17 e Under 19 ad Under 14, Under 15, Under 16, Under 18 e Under 20. A distanza di tre anni l’Under 20 è stata relegata alla sola fase regionale e l’Under 18 subisce di anno in anno delle modifiche.
Io penso che tutta questa fretta non permetta di capire l’effettiva bontà del cambiamento attuato e non aiuti le società a programmare a lungo termine.
Anche le iniziative della LegaBasket, come la Next Gen Cup e la Junior League, devono avere il tempo di essere assimilate dalle società: diverse società di Serie A non hanno squadre Under 18 competitive (infatti nella Next Gen Cup c’è stato un largo utilizzo di prestiti) e non possiedono una squadra Under 20.
Un aspetto che è passato forse troppo sottotraccia riguarda i tornei continentali ospitati in Italia diminuiti drasticamente nel corso degli ultimi anni: aver perso la tappa dell’adidas NGT di Roma e la Novipiù Europe Cup di Moncalieri non ha fatto di certo bene al movimento.

Perché nei paesi Slavi, in Lituania ma anche in Francia e Spagna per ogni annata ci sono prospetti di altissimo livello mentre in Italia pochi riescono ad emergere?

Io parto dal presupposto che per avere prospetti di altissimo livello ci voglia anche una buona dose di fortuna, perché i campioni non nascono tutti i giorni. Ciò che andrebbe assolutamente migliorato è lo sviluppo di giocatori di livello medio-alto: in tutta onestà, seguendo la crescita anno dopo anno di numerosi giocatori, raramente vedo miglioramenti significativi e lacune più o meno grandi colmate. Le motivazioni che mi sono dato sono tre:
– scarsa qualità e disponibilità di strutture di allenamento: in Italia nessuna squadra ha a disposizione e può investire in strutture come quelle del Valencia (senza necessariamente andare a scomodare Real Madrid o Barcelona) e ben poche hanno impianti di proprietà da gestire a piacimento.
Su quest’ultimo punto mi piace sempre far notare come nel Sabonis Basketball Center, in Lituania, le annate equivalenti al nostro minibasket si allenino quattro volte a settimana e dall’Under 13 in su cinque volte alla settimana.
– un utilizzo eccessivo della tattica e dii giochi offensivi sempre più codificati fin dalle categorie più basse, dove i giocatori si trovano a dover eseguire movimenti decisi preventivamente e non a dover pensare per trovare soluzioni.
– una scarsa disponibilità al sacrificio da parte dei giocatori, soprattutto nel periodo in cui terminano i campionati. I pari età stranieri, molto spesso, ingaggiano allenatori personali per migliorare… non ho notizie di italiani che fanno la stessa cosa. Questa però può essere anche una diretta conseguenza alle regole attuali, che bene o male permettono a un giovane di medio-alto livello di riuscire comunque a giocare nei campionati senior.

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Quale dev’essere secondo te il compito delle nazionali giovanili? È più importante raggiungere il risultato (medaglie) o può essere un’occasione per formare i giocatori?

Quando rappresenti il tuo Paese, devi giocare per raggiungere il miglior risultato possibile. Formare i giocatori è compito delle società, in Nazionale i giocatori stessi hanno l’opportunità di confrontarsi con il massimo livello possibile. Deve però esserci unità di vedute tra i club e la Nazionale, in modo tale che un giocatore giochi nel ruolo in cui si sta sviluppando. Prendo ad esempio Sasha Grant, classe 2002 in forza al Bayern Monaco: è un giocatore che sta tentando di svilupparsi perimetralmente, mentre nello scorso Europeo Under 18 è stato utilizzato molto spesso per portare blocchi per liberare i compagni…

Quali sono le società che lavorano meglio a livello giovanile?

Faccio cinque nomi, sulla base dei giocatori venuti fuori da questi settori giovanili nel corso degli ultimi anni e considerando i prospetti ad oggi militano nelle loro fila: Pallacanestro Reggiana, Reyer Venezia, Stella Azzurra Roma, Team ABC Cantù e Virtus Bologna.