Signora Olimpia, permette…? Di Werther Pedrazzi

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Olimpia

“Permette Signora, la guardo da un’ora…”.

Un’eco di un’estate ormai troppo lontana, soltanto una canzonetta, di Piero Focaccia, bagnino della riviera romagnola assurto a gloria canora.
 Ma se lei, Signora Olimpia, permette, anche se sono soltanto due partite (la prima contro Treviso non conta), di cose ne avremmo da dire.
“Stessa spiaggia, stesso mare”, un mare di problemi, e una spiaggia come approdo al momento ancora lontana… Ma adesso la finiamo qui con la rievocazione dei successi di Piero Focaccia… E proviamo ad andare “giù piatto”. Con l’avvertenza che cercheremo di non perderci in mille dettagli, se non quelli significativi, ma ci limiteremo ad andare ai concetti ed ai ruoli essenziali. Agli uomini che contano, o dovrebbero contare.
Non prima di aver aver attribuito il doveroso tributo alla vecchia Virtus che sembra aver ritrovato le antiche insegne e lo spirto guerriero, nonché al suo giovanissimo profeta, Alessandro Pajola, che porta la croce del sacrificio difensivo e dispensa delizie nella gestione dei ritmi offensivi.
Al dunque… Milano?

Riscontri emotivi

Malcolm Delaney e Shavon Shields: non passano mai la palla quando devono.
Ovvero, per loro il passaggio è soltanto il refugium peccatorum, la soluzione di emergenza quando vedono bloccata la loro iniziativa personale.
Delaney, poi, del playmaker ha soltanto il titolo, abusato, ma non le caratteristiche fondamentali. È bastato osservare, attentamente, come aprono il palleggio Pajola o Teodosic, in cerca di di chi o di cosa, per capire la differenza tra il concetto di “costruzione” e “limitazione” del gioco. Volendo essere truci: Delaney letteralmente distrutto da Pajola. Non buono, per il regista (?) di una formazione di Eurolega.
Shields, poi. Lo sappiamo, e quanto ci piace vederle, che spesso si esibisce in conclusioni spettacolari.

Ma come diceva Bertolt Brecht: “Maledetti coloro che quando vedono il pane in tavola, ringraziano dio e non il fornaio”, allo stesso modo quelli che si esaltano per i canestri pirotecnici e non vedono quelli importantissimi sbagliati. Andassero a rivedersi chi ha sbagliato le ultime due triple e la precipitazione con la quale sono state prese, quelle che potevano riaprire una immeritata speranza, frutto soltanto dell’orgoglio del Chaco Rodriguez.
Ci aveva molto affascinato la possibilità che Shields, spostato in guardia, con anche il conseguente aumento del tonnellaggio complessivo del quintetto, fosse il vero sostituto, a soluzione interna, di Kevin Punter. Ipotesi che per concretizzarsi, però, necessita che il buon Shavon capisca che deve “stare al gioco”, dentro alla squadra, e non presumere di esserne l’unico sbocco, con la conseguente e dannosa alternativa di diventarne il tappo occlusivo.
Due flash dalla finale. Due esempi testuali, due azioni emblematiche, che fanno contesto. Shavon Shields immobile, niente scalare, fermo a guardare Hervey dritto come un fuso che va a schiacciare. Ancora meglio Delaney, quando richiama i compagni al tagliafuori… che doveva fare lui!

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