Zalgiris: non solo Jasikevicius, gruppo unito e società

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Zalgiris

Cambia la stagione cambia la squadra, ma lo Zalgiris resta sempre la sorpresa di Euroleague.
Non sembrava facile ripetersi dopo la clamorosa stagione 2017/18, culminata con le Final Four, soprattutto perdendo giocatori del calibro di Pangos e Micic, invece ecco che la truppa di Jasikevicius raggiunge contro ogni pronostico i playoffs.

NESSUNA STELLA, LA FORZA DI UN GRUPPO

Lo Zalgiris in estate perde i leader delle Final Four e rifonda la squadra senza una vera stella, affidandosi al talento di Brandon Davies e alle capacità realizzative di Nate Wolters.
Come tutte le squadre nuove faticano all’inizio, riuscendo però a portare a casa buone vittorie pur non vincendo mai tra le mura amiche, dove il fattore campo si fa sentire in un continuo sold out alla Zalgirio Arena.
Se Davies è il leader tutti portano però il loro mattoncino. I rimbalzi di White, gli assist di Wolters e Westermann, le triple di Grigonis e Milaknis. Nessuna stella ma tanti gregari che insieme formano un nucleo compatto.

LA TATTICA E LA COMPATTEZZA DI SARUNAS JASIKEVICIUS

La forza di un coach, soprattutto quando non ha fenomeni a disposizione, sta nello sfruttare i pregi nascondendo i difetti dei propri giocatori. La stagione dello Zalgiris porta ovviamente la firma di Sarunas Jasikevicius, formidabile condottiero in grado di far rendere al 110% i proprio giocatori, soprattutto nei momenti chiave.
Proprio come da giocatore alzava il livello quando serviva maggiormente, da allenatore migliora la squadra ogni giornata che passa, compatta il gruppo, lo scuote quando è in difficoltà e lo protegge quando c’è da metterci la faccia. La volata finale è un capolavoro di Saras: sei vittorie consecutive sbancando Pireo e Madrid, conquistando dei playoffs che a gennaio sembravano irraggiungibili.
Tanta tattica, tanta difesa ma anche la consapevolezza che il carisma non si compra, e in questo aspetto forse nessuno in Europa è come Jasi. “È tutto finito” dicevano in estate, beh forse è solo iniziato.

IL PUBBLICO IL FATTORE IN PIU’. ONLY IN LITUANIA

Non si può non considerare il fattore pubblico, perchè giocare alla Zalgirio Arena non è come giocare altrove. Non tanto per l’intimidazione agli avversari, ma per il supporto che i tifosi in verde danno ai propri giocatori. Un sold out continuo, tifo indiavolato e il giusto equilibrio tra i supporter europeo e l’intrattenimento più “americano”. Cheerleader, spettacoli, un palazzetto tutto verde, la cultura lituana di basket è sicuramente un contesto unico, ma è chiaro che la società ha capito come canalizzarlo per ottenere sempre più supporto. Only in Lietuva.

PROGRAMMAZIONE E CONSAPEVOLEZZA: LA FORZA DI UNA SOCIETA’

Facile parlare di Jasikevicius, di Davies e di altri. La verità è che senza una società ben strutturata tutto questo non sarebbe possibile. Lo stesso Jasikevicius è saggia opera dello Zalgiris. Che Saras sia un genio non lo scopriamo oggi ma il percorso seguito è esemplare.
Ritirato in maglia Zalgiris, inizia dal 2014 un biennio da vice allenatore, una scuola, un apprendimento necessario perchè giocare non è come allenare e Saras lo sa bene. Dopo due anni arriva l’occasione, la maturazione è raggiunta e nel contesto casalingo c’è l’occasione di maturare ulteriormente senza pressione.

Debuttante nel 2016, oggi nel 2019 sembra un veterano ed è legittimamente uno dei migliori coach d’Europa, così le proposte fioccano e non solo nel vecchio continente.
Tutto non sarebbe possibile senza la società, il supporto, un grande scouting e i giusti investimenti, avallati dall’infallibile occhio dell’ex numero 13 della nazionale.
Dietro un grande coach c’è, spesso, una grande programmazione. E molto dovrebbero imparare dallo Zalgiris il quale senza i budget delle grandi europee sta costantemente nell’olimpo del basket di Euroleague.

Dario Destri
Da un decennio abbondante presenza fissa al seguito dell'Olimpia Milano. Tanta Euroleague con due Final Four nel curriculum. Oltreoceano il cuore batte per i Suns, folgorato in gioventù dalle gesta di Steve Nash. Non chiedetemi di Dragan Bender