Yellow 33: Jack Nicholson e la pallacanestro

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Jack Nicholson

Straordinario attore, conosciuto e applaudito un po’ da tutti, Jack Nicholson ha dato vita a personaggi incredibili, nel corso di una lunga carriera che per decenni ha illuminato gli schermi dei cinema nel mondo. Nicholson nel tempo ha però percorso una piccola carriera parallela anche come regista. Il suo esordio dietro la macchina da presa riguarda da vicino il basket.

Interpretazioni memorabili

I seguaci della pallacanestro seguono da vicino le vicende dei loro beniamini, attraverso siti specializzati, dirette televisive e sempre aggiornate scommesse basket. Lo sport che tanto amiamo si fa spesso spazio anche all’interno di serie TV e pellicole cinematografiche, al punto che si possono contare decine di film in cui il basket ha trovato un punto di approdo, a livello più o meno preminente e riuscito, a seconda dei casi.

Anche tanti attori di fama apprezzano molto il mondo della pallacanestro. Un esempio in tal senso è Jack Nicholson, recentemente riapparso a sorpresa in pubblico dopo un periodo nell’ombra, per assistere dal vivo a una partita dei Los Angeles Lakers. Parliamo di un personaggio dalle capacità eccelse, in grado di consegnare all’eternità una vasta serie di interpretazioni sublimi, da Shining di Kubrick a Qualcuno volò sul nido del cuculo di Forman, da Chinatown di Polanski a La promessa di Sean Penn, dal Batman di Tim Burton a Qualcosa è cambiato di James Brooks. Solo qualche titolo tra i tanti, tantissimi, che hanno segnato la sua vita (e tutto il cinema) nel corso di una professione portata avanti con pieno orgoglio per oltre 50 anni, dagli esordi nella factory di Roger Corman sino agli ultimi ruoli.

Meno conosciuta è l’attività di Nicholson dietro la macchina da presa, condotta saltuariamente attraverso la direzione di alcuni titoli forse non abbastanza rinomati in rapporto alle loro qualità, come Verso il Sud, del 1978, e Il grande inganno, del 1990. Il suo lavoro d’esordio in veste di regista è però datato 1971, si intitola Yellow 33 (Drive, He Said in originale) e dedica una posizione importante al basket.

Dai Leopards al Vietnam

La trama di Yellow 33 viaggia su un doppio binario narrativo. Da un lato troviamo Hector Bloom, brillante promessa della pallacanestro, stella emergente di una squadra di college universitario, ovvero i Leopards. Il ragazzo avrebbe tutte le potenzialità per emergere ad alto livello e fare il grande salto verso il professionismo, ma il suo comportamento non è dei migliori, l’atteggiamento è umorale, indisciplinato e incostante, tanto che il suo allenatore valuta addirittura di escluderlo dal team. Dall’altro lato c’è Gabriel, compagno di stanza di Hector, che sta per partire alla volta della guerra in Vietnam, con tutte le conseguenze psicologiche di una tale prospettiva, estremizzate sino a perdere la testa.

Abbiamo a che fare con un film diseguale, a livello tecnico e di efficacia generale, comandato da un dinamismo e da una frenesia che in qualche modo simboleggiano la realtà sociale del periodo, nonché la confusione e i sentimenti contrastati dei protagonisti. Una parte della critica lo ha etichettato come prodotto trascurabile, ma ha in sé elementi interessanti. Il ritratto dell’epoca di riferimento non è privo di momenti ben studiati, e la figura di Hector, in particolare, mette in scena il doppio binario talvolta antitetico tra lo sport e la vita, le esigenze del campo e la moralità privata, l’immagine del (futuro) campione e l’uomo con tutte le sue fragilità.

Fattori che ancora oggi non sempre riescono ad amalgamarsi nel modo corretto, e che anzi ogni tanto si scontrano tra loro, nel basket come in tutte le altre discipline, alla ricerca di un difficile equilibrio lungo la via verso il successo.